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ricordi narrativi

  • Immagine del redattore: appleshampoo
    appleshampoo
  • 7 giu
  • Tempo di lettura: 2 min

Era estate. Non una di quelle estati torbide dove respirare sembra un’utopia, era una bella estate, fresca, profumata. Ogni tanto una brezza leggera smuoveva i fiori di cui mia mamma si prendeva cura. E io, che avevo paura delle api e di tutti gli altri insetti, preferivo restare dentro casa. Ero nella mia stanza, vicino al balcone, guardavo i fiori protetta dalla zanzariera. Che grande invenzione, la zanzariera, per chi ha paura degli insetti. Una settimana prima avevo compiuto nove anni e mia nonna mi aveva regalato una macchina da scrivere della Olivetti. Anche se era pesante, la portavo sempre con me: in bagno, in terrazza, in cucina, pure sul letto. Non ricordo che cosa scrivevo, ma battevo sempre i tasti con insistenza perché mi piaceva il suono, e a mia nonna piaceva molto leggere quello che scrivevo, anche se erano cose sciocche come: “oggi sono andata a comprare il pane da Gabriele, ti saluta”. E quella mattina d’estate me ne stavo seduta sul pavimento della mia stanzetta a gambe incrociate, guardavo mia mamma che innaffiava i fiori, il riflesso del sole attraverso le ringhiere, e annusavo il profumo del mare. Mi piaceva casa mia. Dalla mia stanza si vedeva tutto il golfo di Napoli e l’odore di salsedine mi teneva compagnia tutti i giorni dell’anno. Ma l’estate era imbattibile: il cielo azzurro come il mare, i fiori colorati, gli uccellini che si poggiavano sul corrimano e che cantavano, le pesche, i pomodori freschi. Guardai la mia Olivetti e sorrisi. Avrei voluto scrivere dell’estate. Con un gesto, portai i capelli dietro le orecchie, sistemai il nastro e cominciai a battere sui tasti. Tic tac tac tac tic tac tac spazio spazio tic tac tac tac. Le parole fuggivano dalla mia mente per diventare inchiostro ancora prima che potessi pensare a una direzione da prendere. Poi un rimbombo, la porta della stanza che si apriva, dei passi pesanti. 

“Ti ho detto che voglio dormire, non devi fare rumore!”

“Ma sto solo scrivendo!” “Tu e ‘sta macchina da scrivere, mi avete rotto il cazzo! Mo’ basta!”

“No, che fai? No! NO! È IL MIO REGALO, ME L’HA DATA NONNA! SMETTILA!” “Che cosa sta succedendo? Giusé, finiscila, ma che è?”

“La deve smettere di perdere tempo dietro ai giocattoli, ci fa spendere solo un mucchio di soldi tra fogli e inchiostro! Mi sono rotto il cazzo, hai capito? Tanto è inutile che fai tutta l’acculturata, finirai a pulire i cessi!”

La mia mente ha cancellato cos’è successo subito dopo quel frangente, forse per proteggermi. Ma era una bella estate, fresca, profumata, e io me ne stavo seduta sul pavimento della mia stanzetta a gambe incrociate e con gli occhi rossi. Accanto a me, a pezzi, la macchina da scrivere che mi aveva regalato la nonna. Era una Olivetti beije e rossa. Le parole, quella volta, restarono soltanto nella mia testa.

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