Pensieri underground

Ho un quaderno che uso per raccogliere i miei pensieri, ma quando inizio a scriverne qualcuno arrivo alla mia fermata, scendo e me ne dimentico. Avevo cominciato a buttarli giù perché volevo capire cosa c'è nella mia testa, che a volte le cose se le scrivi diventano vere e quindi si possono toccare. Ma non sono mai riuscita a vedere un mio pensiero portato a termine. Poi la mia testa cambia di continuo, stimolata da quello che succede all'esterno. Parte una canzone che mi piace, sale un balordo in metro, entra la polizia, mi cade la penna, mi incanto a guardare gli schermi dei cellulari altrui, sento gli sguardi della gente che mi fissano come se fossi di un altro pianeta... Forse a questo ci sono abituata. Mi capitava spesso da adolescente quando parlavo italiano e mi tingevo i capelli di rosa mentre intorno me era un miscuglio di omologazione e "ue, uagliuncella". In un posto dove a 16 anni dovevi aver conosciuto il padre dei tuoi futuri figli io invece sognavo di imparare l'inglese, fuggire a Londra e diventare una fotografa, una scrittrice e una pirata. Un paio di queste cose le ho realizzate davvero e anche se all'epoca mi sembravano dei passi enormi ora guardo a quei giorni come a un ricordo lontano di una vita che non era la mia, che non mi è mai appartenuta.

Eppure ero io. Io che prendevo tutti quei voli Londra-Napoli, che pagavo l'affitto a Tony, che imparavo a bere con Yair, che piangevo nei bagni di Brent Cross, che sfuggivo alle tarantole, io. Ero io che vivevo. Ma se scavo nella mia memoria vedo solo un cumulo di sassi.

Mi capita spesso di non riconoscermi attraverso lo specchio. La mia faccia è sempre quella, salvo le rughe, ma io chi sono? Sono quella ragazzina con le converse sfasciate, quella giovane adulta che bazzicava a Camden Town, la ragazza che smadonnava contro Photoshop, la donna col cuore a pezzi che scrive su un quaderno seduta in un treno della U9 di Berlino?

Sono tutte loro, nessuna tra loro?