Parole su di me
- appleshampoo
- 31 ott 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Una volta ho preso un volo KLM per Napoli. Partivo da Brema con scalo ad Amsterdam e la prima tratta sarebbe durata circa mezz'ora. Non era la prima volta che prendevo quel volo, né che salivo su un aeromobile; avevo volato così tante volte e con le low cost più svariate che imbarcarmi con KLM era quasi un lusso. Non ho mai avuto paura di volare. Quel giorno salivo sul volo con la solita tranquillità. Ho validato il boarding pass e con la mente ero subito in vacanza. Mi capita ogni volta che sento il bip dei tornelli di pensare “ciaone!” e di indossare gli occhiali da sole come se fossi una star del cinema (cosa che non sono né vorrei diventare). Tornando a noi, mi aspettava un programma bello intenso ma in quel momento pensavo soltanto che a breve avrei potuto sedermi di fronte al mare mio.
Ero già pronta a rilassarmi e, seduta al posto finestrino, non vedevo l’ora del decollo. Il pilota aveva dato il via ai motori, aveva fatto i suoi soliti discorsi e le dovute raccomandazioni. Nemmeno le ascoltavo. Al tempo lavoravo per un’altra compagnia aerea e avevo da poco concluso un corso sulla sicurezza a bordo. Così avevo gli occhi già pronta per il consueto pisolino prima dell’atterraggio, il momento che il mio stomaco tutt'ora sopporta di meno. Riuscivo ad annusare il profumo del caffè che le hostess stavano preparando e ascoltavo la mia band preferita con gli auricolari. Il cielo era stranamente chiaro e soleggiato, il giorno perfetto per iniziare le vacanze.
Dieci minuti dopo, a metà del tragitto, il pilota ha riaperto le comunicazioni. Ricordo le sue parole alla stregua delle poesie di Pascoli che la maestra mi aveva fatto imparare a memoria nelle scuole elementari: “Ladies and gentlemen, we are preparing a surprise for you. Cabin crew prepare your positions please. Dear passengers, please fasten your seatbelts - it’s going to be fun”.
Ero certa che si trattasse del compleanno di una delle hostess o una di quelle ricorrenze tipo “è il millesimo volo del pilota”, insomma, robe così. Sorrido e aguzzo la vista perché, insomma, sono curiosa. Poi sento qualcosa di strano. Lo stomaco inizia a chiudersi e l’aeromobile a vibrare. Una turbolenza, mi ero detta, tutto nella norma. Per un po’ il dondolio diventava più insistente, era inusuale. Mi sono aggrappata ai poggia braccia e mi sono chiesta da dove saltasse fuori questa turbolenza: il cielo era ancora azzurro, la luce del sole mi pizzicava gli occhi. Poi l’aeromobile iniziava a sbilanciarsi così tanto che nell’arco di pochi minuti mi sono ritrovata a testa in giù. È durato pochi attimi in cui il mio cuore è finito nella mia gola, o forse la mia gola è finita nello stomaco, non lo so. Gridavano tutti, i bambini piangevano e io cercavo di ricordare se al corso ci avevano spiegato cosa fare in situazioni come quelle. Niente, nessuna reminiscenza, due ore di lezioni buttate nel cesso. Allora alzo il volume e mi dico che se devo morire tanto vale ascoltare la mia canzone preferita e non le grida cariche di paura degli altri passeggeri.
Poco dopo, il pilota era riuscito a stabilizzare il velivolo e aveva ripreso a parlare con noi attraverso gli altoparlanti. Ci raccontava di un altro aeromobile che non doveva trovarsi su quella rotta e che stava ostacolando il traffico aereo, e ci spiega che era un aereo pesante e che se lui non avesse fatto quella manovra allora ci saremmo davvero schiantati al suolo. Ho tirato un respiro di sollievo perché ero viva e poi avevo ripreso a guardare fuori dal finestrino.
Perché lo scrivo adesso, perché ricordo questo avvenimento? Perché ora mi sento di nuovo così, col cuore nello stomaco, su un aeromobile che vola sottosopra. Mi sento a testa in giù, su un aereo che può precipitare in qualsiasi momento, con le cinture di sicurezza allacciate, senza sapere che cosa ne sarà di me.
Guardo le mie cose nuovamente chiuse in degli scatoloni, il segno dell’anello sul dito, i fazzoletti zuppi di lacrime che sono caduti sul pavimento, dei piccoli cespuglietti di polvere che colorano il parquet e mi domando che cosa ne sarà di me adesso, quale sarà il mio prossimo passo, che cosa devo fare. E allora scrivo.
Ecco chi sono io. Una che scrive quando è triste, che inizia duemila progetti e forse ne porta a casa mezzo, che in qualche modo riesce sempre a rimettere insieme i pezzi e che spera di riuscirci anche stavolta.
Altrimenti era meglio finire nella scia dell'aereo e schiantarsi al suolo.
Comentários