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Il ragno sul muro

  • Immagine del redattore: appleshampoo
    appleshampoo
  • 6 nov 2024
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 19 nov 2024

Nell’angolo in alto a destra c’è un ragno. Il mio primo istinto è quello di chiamarti, chiederti di salvarmi, di allontanarmi dal pericolo. Poi mi ricordo che non posso farlo, che non fai più parte della mia vita, e capisco che devo cavarmela da sola. Sconfiggere i ragni è l’unica cosa che non sono mai riuscita a fare. Lui è lì, mi guarda, è uno di quegli stalli cinematografici, o la vita o la morte, o tu o io. Penso che forse dovrei usare la tecnica dell’aspirapolvere, che dovrei aspirarlo e lasciarlo nel sacchetto insieme alle briciole del pranzo fino a quando, tra qualche mese, mia sorella o una mia amica si troveranno a passare da qui. Non so se possa essere davvero una buona idea, ci saranno altri ragni nel sacchetto e aspetteranno il momento giusto per venire allo scoperto e uccidermi. È così che funziona la mia mente quando vedo un ragno. Credo che siano creature superiori in grado di meditare vendetta, di avvolgermi nella loro tela e succhiare via la mia vita secondo dopo secondo in una lenta agonia che mi farà supplicare la morte, ma loro mi guarderanno e diranno: “è per i nostri fratelli che hai ficcato in un sacchetto”.

C'è un ragno sul muro, questo è un dato di fatto. È così piccolo che potrei provare a convincere la mia mente che si tratta di un granello di polvere, ma lui mi guarda, è lì, e io decido di chiamarlo a Asdrubale. È l'unica altra forma di vita in questa stanza, oltre la mia, adesso. Lui è nato qui. Questa è casa sua, ma era anche casa mia, casa nostra, ora a casa tua. Me ne andrò, lo sai. In una città che odio ma dove posso lavorare in presenza e provare a dimenticare, dove potrò cercare di convincere la mia mente che gli ultimi dieci anni non sono trascorsi davvero, che non stavamo per sposarci, che non avevamo pianificato della luna di miele negli States, che non avevamo già scelto i nomi dei bambini che non avremo mai. Gli ultimi dieci anni sono trascorsi sul serio, però. Io avevo anche visto quanto ero bella col mio abito da sposa, avevamo anche imparato a ballare, avremmo voluto iscriverci a un corso di valzer. Gli ultimi dieci anni pesano sulle mie spalle e sul mio cuore, e mi guardano, come fa quel ragno sul muro.

Non so che fare. La mia mente si paralizzata davanti alla paura, e poco importa se sono forte e coraggiosa come dicono gli altri: tu te ne sei andato dalla mia vita, scegliendo la maniera più vigliacca possibile, facendomi credere che fosse colpa mia perché io sono troppo gentile e leale, e Asdrubale è ancora lì. Il ragno sul muro mi guarda. Dovrei affrontarlo ma non mi va. Sono trascorsi minuti, forse addirittura giorni. La casa è più vuota senza le mie cose. Sono bastate dieci scatole, uno per ogni anno insieme, neanche a farlo a posta. Ho lasciato qui quei pochi oggetti che mi ricordavano te perché non mi va di piangere guardandoli e non mi va di portarmeli dietro, come non mi va di ricordare gli ultimi dieci anni. Io vivo dove vivono le mie cose, non perché sono materialista, bensì perché per me sono sempre state il simbolo di un traguardo raggiunto. E ogni volta che guardo anche solo una penna ripercorro il percorso che l'ha portata fino a me. Ti ho lasciato anche Phil, l'unicorno che mi avevi regalato a Natale del 2018. Se penso a lui mi viene in mente di quando ti ho fatto guardare “Buffy l’ammazzavampiri” e di quando mi hai tradita la prima volta. Delle sedute dallo psichiatra, dello Xanax, dell'ansia che mi saliva perché credevo che fosse colpa mia, perché ero poco intelligente, perché non ero stimolante. Di quando ho creduto che volevi stare con me e ho scelto di restare con te, e alla paura che non fosse stata la scelta giusta. Che forse non avrei dovuto seguirti fin qui, che avrei dovuto lasciarti andare, che avrei dovuto dirti no e tornare a Londra. Gli anni successivi sono stati difficili, ma belli con i loro alti e bassi. Come quando ci siamo trasferiti nella prima casa e abbiamo dormito per terra sul pavimento nudo perché il materasso non era ancora pronto. O quando siamo andati negli States la prima volta e abbiamo immerso i piedi nell'oceano che bagna le coste di Santa Monica. Ma anche le notti in cui faceva tanto freddo e noi ci tenevamo stretti sotto le coperte a chiacchierare a prenderci in giro. Il mio mondo si chiudeva lì. C'era un Universo intero fuori, ma le mie galassie erano tutte sotto quelle coperte insieme a te, mano nella mano, con i nostri profumi che si mescolavano e i miei capelli che si infilavano nel tuo naso. Mi sembrava vero. L'amore che dicevi di provare per me, intendo. Chi se lo sarebbe mai aspettato che pensavi ancora a lei quando mi hai chiesto di sposarti?

Il ragno sul muro mi guarda, diventa più grosso, e io gli offro le zanzare.

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